Mentre scorre

Ad un certo punto della sua vita Marco iniziò ad odiare il sonno. La sveglia quella mattina suonò e Marco vide il sole del primo mattino, che filtrando attraverso le persiane, proiettava sul muro delle forme geometriche orizzontali. La simmetria delle linee gialle era così perfetta da ricordargli una famosa poesia di William Blake. Chiuse per un attimo gli occhi, si girò, e con un rapido gesto la spense. In realtà le cose non sono state sempre così. C’era stato un tempo non molto lontano in cui dormiva come la maggior parte delle persone. Sapeva apprezzare le virtù di un buon sonno ristoratore e amava immergersi nelle coperte alla fine di una lunga giornata lavorativa. Ma ormai ricordava a stento quella magnifica sensazione. Ora, riportiamo indietro gli orologi di qualche mese. Marco si occupava di analisi di mercato per un’azienda nel milanese. Vita da pendolare; per ogni porta che si apriva di fronte a lui poco dopo un’altra si chiudeva alle sue spalle.
Il mezzo pubblico è la metafora della vita. Sali? Scendi? Rimani? Insomma devi pur scegliere qualcosa no? Nella vita e con le persone non è poi così diverso. Ragazzo giovane e belloccio, molto riflessivo, era stimato dai suoi colleghi per la sua onestà intellettuale ma soprattutto perché sapeva svolgere bene il suo mestiere, nel quale si prodigava quotidianamente da quasi 7 anni. Al di fuori del lavoro, che gli sottraeva circa 8 ore della sua vita, era una persona generalmente molto sola. Figlio unico, di origini Bolognesi era venuto a Milano per lavoro lasciando i suoi genitori in un paesino di campagna non molto distante da Bologna. Quando non organizzava qualche gita fuori porta, o non si dava all’ozio, li andava a trovare tutti i weekend. Successe tutto per caso. Una sera, uscendo dal lavoro si recò in edicola e prese la solita rivista di carattere scientifico che usciva con cadenza mensile. Una lettura gustosa, tutta per lui, dove poteva tenersi aggiornato su di un mondo in constante evoluzione. Marco abitava in un piccolo complesso residenziale composto da 4 palazzi costruiti alla fine degli anni 70 di un color verde militare e dall’intonaco mutilato dal tempo. Percorse a piedi i due piani di scale che lo portavano al suo appartamento, si chiuse la porta alle spalle, mise le chiavi sul tavolo e senza mangiare si stese sul divano a leggere qualche articolo. Era stanco, quindi sfogliò il mensile partendo dal centro come si fa quando si va dal parrucchiere o dal medico.

Le riviste nelle sale d’attesa lo sanno che le persone non sono lì per leggere e vengono puntualmente aperte in due come panini. Sono sandwich, non riviste. Si trovò di fronte un articolo che parlava del sonno e di quanto fosse importante che un essere vivente dormisse per affrontare al meglio la giornata e successivamente una lista infinita di danni che lo stesso individuo avrebbe subito nel caso il sonno fosse venuto a mancare. “Che noia”. Nulla che non sapesse già. Semplice sapere collettivo travestito in veste scientifica. Probabilmente un tipico articolo riempitivo. Ma poi l’occhio cadde su una frase scritta in grassetto. “Un individuo medio dorme un terzo della sua vita”. Posò la rivista e si mise a pensare. Tra le sue sinapsi continuava a rimbalzare quell’agghiacciante percentuale statistica. Un terzo della vita. Un terzo. Senza accorgersene si mise a parlare da solo ad alta voce: “quindi se io, per assurdo, dovessi vivere fino a 90 anni, significa che 30 anni della mia vita li avrò passati dormendo? Nella più totale incoscienza e inutilità per me stesso e per gli altri? Quante cose si possono fare in 30 anni?” Ne uscì distrutto. Da quel momento iniziò a vedere il sonno come una piaga, una malattia alla quale nessuno al mondo ha scampo. Una sorta di maleficio che toglie un terzo della vita a tutti gli esseri umani della terra. Diventò paranoico. Quella sera non cenò. 30 anni. Era un chiodo fisso nel cervello. “Mio dio” pensò, lo stagista che è appena arrivato in ufficio ne ha 28 di anni. Andò in camera e accese la tv. Assorto nei suoi pensieri lo zapping divenne quasi psichedelico. Un susseguirsi di immagini che si riflettevano nelle sue pupille fisse sullo schermo. Era solito andare a dormire a mezzanotte e puntare la sveglia alle 7 ma quella sera la puntò alle 5. Come se quelle due ore di sonno in meno fossero una piccola terapia alla malattia che aveva appena scoperto di avere. Ovviamente l’indomani oltre ad avere sonno si ritrovò a dover riempire un buco di 2 ore. Pulí casa da cima a fondo e andò a correre. Una doccia veloce e di corsa al lavoro. Per tutto il giorno non pensò ad altro. A quanto tempo aveva perso prima di allora. Decise di ridurre le ore di sonno.
Come una persona assuefatta da qualche farmaco che intraprende il percorso di abbassare lentamente il dosaggio. L’obbiettivo era di arrivare a dormire solo due ore per notte. Sempre. 365 giorni l’anno. Marco non era mai stato famoso per essere un tipo dalle mezze misure. Così caparbio quanto testardo. Uscì da lavoro stanco e assonnato ma invece di andare a casa andò ad informarsi per fare del volontariato notturno a livello locale. Trovó un’associazione che si occupava di aiutare i senza tetto al calare delle tenebre. Distribuzione di pasti caldi, supporto alla persona, tutto, pur di essere utile. Si iscrisse subito. La prima settimana continuò a dormire cinque ore. Se era di ronda come volontario andava a letto più tardi e il giorno dopo andava a lavorare. Se non lo era si svegliava presto e si dedicava a sè stesso. Scoprì un mondo del tutto nuovo. Non avrebbe mai immaginato che alcune palestre aprissero alle 6 del mattino. O che fare un pò di vita sociale in più in fondo non era poi così malaccio. Nel giro di poco tempo da 5 ore passò a 4. Nel weekend arrivava molto presto dai suoi. Li trovava svegli e aveva modo di viverli di più, riusciva ad apprezzare meglio ogni singola sfumatura perché il tempo era dalla sua parte. Rivide gestualità e linguaggi espressivi che gli rievocarono l’infanzia. Tutte cose che erano andate sbiadite per colpa della frenesia di un weekend che nonostante tutto finiva per essere troppo breve. Faceva lunghe pedalate in campagna con l’odore dell’erba intrisa di rugiada che gli riempiva i polmoni. Acqua e caffè erano le sue fonti di abbeveramento. Vedeva il sole nascere e morire. Ogni giorno. Una straordinaria fenice sferica che brillava in cielo. Ma l’entusiasmo delle prime settimane iniziò a spegnersi del tutto quando da 3 ore di sonno raggiunse il suo obbiettivo. Ai turni di ronda notturna erano i senza tetto ad aiutare lui. Aveva la sensazione che Newton in persona gli stesse impartendo lezioni private sulla forza di gravità, utilizzando le sue palpebre come strumento scientifico. Al lavoro il rendimento era ai minimi storici, tanto da ricevere una lettera di reclamo che ignorò. Iniziò a perdere peso ed a muoversi per automatismi. Ma nonostante tutto questo era contento per la mole di cose che riusciva a fare. Non aveva più la sensazione opprimente di star buttando la sua vita ficcato tra un paio di lenzuola.
Divenne una vera ossessione. Quando arrivava il momento di dormire si buttava vestito sul letto. La sveglia era diventata croce e delizia. Due ore. Quelle dovevano bastare. Ì suoi genitori allarmati dal viso scarno e dalle occhiaie lo riempivano di domande alle quali lui non rispondeva. Giunto all’inizio dell’estate fu licenziato. La terza lettera di richiamo fu implacabile. Se ne andò barcollando tra lo stupore generale. A casa sua si poteva mangiare sui sanitari talmente erano asettici. Lo sport e le passioni coltivate non avevano più ragione di esistere. La mancanza di concentrazione gli impedivano di effettuare anche le cose più basilari. Durante l’ennesimo turno di volontariato gli fu chiesto espressamente di riposarsi. Non aveva più nulla. All’improvviso si accorse che il tempo, che lo aveva così tanto ossessionato in quei 4 mesi, non andava misurato in termini di lunghezza ma in qualità. La qualità era la chiave di tutto. Nonostante l’infinita stanchezza quel secondo di lucidità gli fece capire che era il momento di mettere un freno a quella storia. Tornò a casa e la rivista era ancora sul tavolo. La fissò cosi a lungo che alla fine non riuscì più a capire se era lui a fissare la rivista o il contrario. Sembrava avesse preso vita propria. Stava entrando in spazi che non erano reali, il potere della suggestione miscelata alla deprivazione del sonno generò in lui un attacco di panico mai provato prima. Ora che era a casa e che il turno era finito guardò l’orologio ed erano le tre. Decise che da quella notte avrebbe lasciato che il suo corpo dormisse tutto il tempo di cui aveva bisogno. Si sentì tremendamente stupido ed ingenuo. Bevve un sorso d’acqua e andò in camera tenendo le mani appoggiate alle pareti. Guardò il letto, chiuse gli occhi e si lasciò avvolgere dalla notte. La sveglia suono e con un gesto della mano la spense. La sera prima si era dimenticato di toglierla e quindi aveva di nuovo dormito solo due ore o poco più. “Sono davvero un idiota” pensò. Doveva andare in bagno, si alzò e si accorse nel totale stordimento di avere una fame pazzesca. Da quanto non mangiava? Non lo ricordava piú. In casa non c’era nulla. Tutto quel tempo e si era dimenticato di fare la spesa. Era già vestito e quindi decise di andare a comprare qualcosa al supermercato sotto casa aperto 24 ore. Prese l’ascensore e camminando a tentoni raggiunse la via di sotto.

Il supermercato era dall’altra parte della strada. Guardò il cielo, il sole era ancora molto basso e le nuvole avevano delle leggere sfumature indaco. Sorrise. Oltre alla sua famiglia in fondo una cosa gli era rimasta: lo stupore. “Ora sazio questa fame tremenda e poi dormo fino a domani” pensò. Sorrise di nuovo. Attraversò la strada guardando diritto di fronte a sé. L’unica cosa che sentì fu uno stridio di freni che gli sfondò il timpano destro dopodiché il suo volto scaraventato su dei binari. L’ultima cosa che vide prima che la vita abbandonò il suo corpo fu la croce verde di una farmacia.
L’orologio segnava le 5:34. “Forse avrei dovuto scegliere di dormire un’ora a notte” pensò. “Alle 4:34 i tram non sono ancora in servizio qui.” Poi il buio.

Lorenzo Peduto per tantipensieri.

Immagine di mia proprietà.

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