Social e identità

Ho appuntato alcune frasi qualche settimana fa, considerazioni, ribellioni interne, poi ieri continuando nella lettura di un testo che mi è stato consigliato, mi sono imbattuta in frasi che mi hanno fatto collegare il tutto.

Su Le Misure Eroiche di Andrea Marcolongo ho letto:

«Siamo tutti amici su qualche social network, ma finiamo per piangere da soli mentre postiamo una foto di noi sorridenti con qualche frase motivazionale come #nerverstop. Eppure qualche volta nella vita bisogna fermarsi».

Social.
Il nome in testa. Sociale. Società. Confronto. Collettivo. Unione. Scambio.
Forse è nato tutto così.
Unire il lontano, confrontarsi con idee, opinioni, foto. Interagire, fruttare e ribellarsi.
Conoscersi, chiacchierare.

E continua lei qualche frase più avanti: «ci infiliamo in chat con sconosciuti, certi che alla fine del nostro cliccare, condividere, attendere che chi “sta scrivendo…” finisca di scrivere, troveremo la luce in fondo a quel tunnel chiamato Whatsapp»

«Miglia e miglia di chat forsennate regalano distanza, anziché vicinanza, equivoci anziché chiarezza, soprattutto immaginazione anziché realtà»

Ed è proprio qui che ricollego i miei appunti, perché penso che poi c’è chi si è perso, attraverso gli angoli del social si è nascosto e ha cambiato le proprie vesti. Ha iniziato a guardare la propria vita quotidiana come un abito nero dal taglio classico che per una festa in maschera non andrebbe di certo bene. La noia per la realtà lo ha fatto sprofondare nell’illusione del virtuale e lì è un attimo che il circolo vizioso inghiotta. La testa va, il corpo si nasconde dietro uno schermo e tutto il resto è obsoleto.
Apparire perfetti, mentre nell’armadio anche gli scheletri sono caduti a pezzi, le mani distrattamente operose durante le ore di lavoro mentre il resto del mondo crede che sia concentrazione.
In metro, sui marciapiedi, a tavola… persone chiuse in un mondo mentre sono in un altro.
Due universi in un unico corpo.
Bugie e porte socchiuse perché poi basta un attimo a fare pressione con l’indice sul tasto di spegnimento del pc o silenziare quell’applicazione mentre le chiavi nella toppa di casa girano.
Un attimo. A disegnare un sorriso sul volto mentre la famiglia saluta e la mente dice “dopo una sbirciata la do ancora, magari mentre l’acqua della doccia diventa calda.”

Sul libro sottolineo questa frase:
«Quante volte, per la fretta, ci siamo dimenticati di un amico, di un libro, di un amore, di una nonna, dicendoci domani, giorno che non è mai arrivato?
Quante telefonate non di lavoro, ma di anima abbiamo in sospeso, quante lettere, quanti doni?
Quanti grazie e quanti mi dispiace?
Da quando abbiamo smesso di avere memoria, viviamo nel tempo del pro-memoria»

E per alcuni nel limbo dei segreti o nascondigli, aggiungo io.
Chissà se ad alcuni mancano gli anni in cui avevano solo una faccia!

 

Debora Alberti per @tantipensieri
Immagine dal web

 

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