Trieste

Sono sul treno seduto al mio solito posto, lato finestrino. Ormai Trieste si avvicina come una nuova conquista. Il treno rallenta e mi dà la possibilità di osservare dal vetro ancora bagnato dalla recente pioggia, i binari che inseguono movimenti di costa, e quel capolavoro di città che si estende sul mare.
Trieste da lontano assomiglia ad una bellissima donna distesa, con i suoi moli allungati sull’acqua come sensuali braccia aperte.
Il mio lavoro di visual merchandising mi permette di attraversare in lungo e in largo tutta l’Italia così, con la scusa di sistemare vetrine e punti focali di negozi d’abbigliamento, questo impiego mi regala spedizioni, città da scoprire, espugnazioni da meritare.
Viaggiare è la mia vera passione.
Amo sentirmi il Marco Polo di me stesso, scoprire terre inesplorate, profumi mai annusati, persone sconosciute, strade non ancora percorse.
In ciò che non conosco mi riconosco. Quando non so con chi sono mi sento in compagnia. La mobilità è il mio equilibrio, come quello di tutti i buoni viaggiatori, che trovano dimore donandosi al mondo. Sul treno in movimento mi sento a casa.
Mi sento a casa quando respiro d’odore dei binari, quell’ inconfondibile miasma di polvere e metallo dannoso per i polmoni, ma emotivamente stabilizzante. Come quando fumo una sigaretta.
«Trieste, stazione di Trieste» annuncia la voce robotica proveniente dagli altoparlanti. Alle mie orecchie suona come un amichevole benvenuto.
Eccitato, non saluto nemmeno il treno come di solito faccio. Cammino verso l’uscita, scendo le scale e mi lascio alle spalle le colonne della stazione.
Subito il mio occhio destro, avido di tutto ciò che è colorato di azzurro, scorge il cielo e il mare, mentre quello sinistro osserva distrattamente cani che portano a passeggio padroni prestando attenzione ai cartelli delle indicazioni turistiche. Eccola!
Piazza Unità d’Italia: la mia prima meta. Continuo a camminare in direzione mare, quasi saltellando.
Sapete qual è la mia fissazione appena arrivato in un nuova città? Bere il caffè più buono del centro. Sembra che al Bar Centrale, in Piazza Unità d’Italia appunto, servano questa eccellenza. A ciò si aggiunge il fatto che Trieste è sede della famiglia Illy nonché dell’Università del caffè, quindi le mie aspettative sono altissime. Oltre i miei nobili motivi, a dire il vero, al momento ho un immediato bisogno del suo effetto fisiologico.
Eccomi arrivato. A destra il mare e il molo Audace di nome e di fatto, a sinistra un altro mare ma di cemento, ancora un po’ umido dopo il passaggio della pioggia. Faccio fatica a girare le spalle all’acqua, ma questa piazza riempie gli occhi quanto il mare. Chiusa ai tre lati da aristocratici palazzi, è destabilizzante per la sua bellezza. Voglio arrivare in fondo, là dove c’è quella statua. Muovo i passi e sembra che stia camminando sulle acque. Voglio girarmi di scatto verso il mare.
Wooow! Sento un brivido scorrermi dalla nuca e scendere come una scossa per tutta la spina dorsale. Non so se siano gli effetti di quella che chiamano Sindrome di Stendhal o di qualche altro inspiegabile incantesimo. Saltello ancora e la gente mi guarda. Mi osserva anche Carlo VI alto, fiero e statuario. Insieme guardiamo quella che credo sia la più grande piazza sul mare d’Italia, forse anche la più grande d’Europa.
Tutto è mare. I palazzi sembrano galleggiare, quasi come se la piazza fosse una veliero in partenza. Un vento di bora leggero gonfia le vele improvvisando jazz.
Artistico! Distraggo un attimo lo sguardo, ed ecco il Bar centrale, il primo a destra guardando il mare. Mi avvicino, entro con questa musica nelle orecchie e negli occhi.
Arredi dall’inconfondibile stile viennese, un locale che sicuramente ha un passato come punto d’incontro di artisti e uomini d’affari, volti noti e nobili nati in questa città.
«Buongiorno. Mi prepara gentilmente un caffè liscio?»
«Cosa desidera scusi? Forse voleva dire un nero?»
«Un nero?»
«Sì, un nero è un caffè normale. Un capo è un caffè macchiato. Un capo in b è un macchiato in un bicchiere. Un goccia è un caffè macchiato»
«Anche ordinare un caffè in questa città è un’impresa affascinante. Desidero un nero, la ringrazio»
Sarebbe bello raccontarvi se e quanto fosse buono quel nero, dirvi delle persone che ho conosciuto in quel bar, e fuori da quel bar.
Ma Trieste va vissuta, respirata, bevuta, saltellata di gioia. Magari proprio lì, affacciati su quella piazza, nel salotto di confine in cui sconfinano le emozioni!

Hidden per @tantipensieri
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