Mio sangue

Stirai io la tua camicia. Quella di quel giorno.

Una slim bianca da indossare sotto l’abito che scegliesti grigio perla, a far risaltare i tuoi occhi blu.

Otto anni dal tuo matrimonio ed io ora rivoglio mio fratello.

Tu che scrivesti il tema La mia sorellina in terza media, non avevi ancora compiuto tredici anni ed era ottobre, quel giorno c’era traccia libera e tu scrivesti di me.

Avevo pochi mesi e tu mi vedevi come una fiaba.

Per me sei sempre stato grande, come se fossi cresciuto troppo in fretta per farti trovare così pronto alla vita, alle sue difficoltà, alle parentesi che ti chiedevano presenza quando avresti voluto essere altrove.

Quella foto dove mamma immortalò i miei primi passettini tenuta dalle tue mani già adulte, anche se eri appena un adolescente; si vedono i tuoi piedi dentro mocassini marroni, i jeans con il risvoltino e le calze bianche di spugna. Quella moda che seguiva il look di Michael Jackson e tu eri un ragazzino ed io sorridevo alla voglia di camminare.

Come quando faticavo a farlo liberamente e tu pur non dicendo nulla, mi guardavi preoccupato. Cosa stava succedendo a me, a tua sorella?

Ti saresti sposato ed io dovevo stare meglio, dovevo, perché mi chiedesti di farti da testimone.

Quella notte dormii solo quattro ore, la sera prima non riuscii a cenare. Avevo una grossa responsabilità dopo ventidue mesi di casini e battaglie difficili.

Oggi mi mancano i tuoi sorrisi, il tuo esserci.

Il tuo guardarmi da sotto le ciglia lunghe, quelle che accomunano tutti e tre noi fratelli, mi spezza il cuore ogni volta sempre più lentamente.

Non so cosa sia successo, cosa ti abbia fatto cambiare.

Tu. Mio stesso sangue. Mio padrino, mio testimone. Mio fratello. E non esiste parola migliore.

Il bene che provo per te non ha limiti e aspetterò.

Aspetterò di nuovo i tuoi sorrisi e le tue risate.

La tua limpidezza come la sera che tornasti dal lavoro e ti dissi “Buon compleanno, sono trenta!” Penso che da poco quei trenta sono passati per me e per due anni ho aspettato i tuoi auguri, ma non ho ricevuto nulla.

Abbandona questo brutto orgoglio, perché io ho bisogno di te.

Potrebbe formare una lettera questo groviglio di parole, una canzone incastrata tra le cassette che ancora sono nel comodino della tua stanza in casa di mamma e papà. La tua musica, che non ti ho mai visto ascoltare. Tu hai sempre lavorato, sempre. Di notte, di giorno. E poi crollavi di sonno su quella sedia sgangherata in cucina. Tu che quando ti ritagliavi tempo per uscire eri bellissimo e lo sei anche in questo trascorrere di anni.

Lo so che sai.

Mi hai vista nascere e da sotto le tue ciglia lunghe e dure di orgoglio, diventare madre.

 

Debora Alberti per @tantipensieri

Immagine dal web

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