Lo scuolabus omologato – by @borghettana on Twitter

Mettevo in ordine in casa e mi sono persa.

Si, mi sono persa, nel tempo.

Sono sbucate da un cassetto delle vecchie foto in bianco e nero, di una vita fa, di quando andavo all’asilo; mi sono seduta a guardarle, rapita.  I tempi sono cambiati assai, ora si chiama scuola dell’infanzia.

Ho dei ricordi ancora vivi e nitidissimi di quegli anni, visivi ed emozionali; situazioni che mi porto dentro, che fanno parte di me; impatti emotivi come tatuaggi nell’anima.

L’asilo era gestito da suore: Suor Giuseppina, allora già incartapecorita, e Suor Ignazia, donna matura, che cucinava delle minestre il cui profumo si espandeva fino alla strada sottostante. Il personaggio però era Suor Cecilia, la più giovane, che a noi pulcini sembrava una montagna; un bel donnone pettoruto, abito e velo nero e grembiulone bianco, sotto al quale nascondeva le mani giunte; ogni tanto tirava fuori la destra e con il dito sulle labbra appuntite, che sembravano voler tirare baci, ci ammoniva: “Silenzio bambini, state buoni”.

Sento le nostre voci rimbombare nella grande stanza dei giochi; mi rivedo con le manine intente ad infilare i chiodini colorati nei buchini, oppure a costruire torri senza fine con cubetti di legno. Rivedo anche quell’antipatica prepotente che mi rubava tutti i cubetti e che, un giorno, alle mie proteste, mi staccò, con un dispettoso morso, la perla dall’anello trovato nell’uovo di pasqua! La rincorsi fino al  corridoio dei bagni, beccò una cinquina che il muro gliene diede un’altra e la suora mandò a dire a mamma che io menavo agli altri bambini…. Brutta prepotente! Sono passati circa cinquant’anni, ma quando mi capita di incontrarla, fanatica come allora, nonostante il mio cervello faccia poi prevalere la ragione, mi scende ancora un velo nero davanti agli occhi.

Ripercorro i corridoi dai muri tinteggiati di azzurro, quasi turchese e dal pavimento di vecchie piastrelle in cemento, a puntini bianchi e neri, le porte grigie, la Madonnina all’angolo dell’ingresso con la coroncina illuminata e ai suoi piedi il vasetto di fiori finti.

All’esterno un grande piazzale con ghiaia, altalene legate ai rami di due grandi alberi ed a terra le buche scavate a forza di strusciare con i piedi per frenare la corsa; una lunga aiuola tutt’intorno, lungo l’inferriata di cinta, con tante rose, tante tante rose fiorite; i maschietti si divertivano a legare con il filo gli scarabei, per le zampette, lanciandoli addosso alle femminucce; io avevo una paura folle, che tra l’altro mi è rimasta, per tutti gli insetti. Anche in una dei quelle occasioni feci una “carezza”, in pieno viso, ad un compagno di giochi, che si guardò bene in seguito dal riavvicinarsi con gli scarabei.

Su un lato del piazzale troneggiava una grande fontana, con acqua corrente ed una vasca con pesci rossi, location di rito per la foto più belle. Accanto alla fontana, una stretta scalinata dava sulla viuzza centrale del piccolo paesino; da lì, spesso si scendeva per la passeggiata, in fila per due. Eravamo così contenti di quelle uscite! Sapevamo dove ci portava suor Cecilia! Sotto il balcone di una signora che abitava lì vicino e che, con un cestino legato ad una cordicella, ci scendeva giù caramelle e biscotti! Che felicità per noi!

Risento la voce, sempre di Suor Cecilia, che, giunta l’ora di tornare a casa, ci avvisava affinché ci preparassimo e non dimenticassimo il cestino della merenda. Non esistevano allora gli zainetti firmati, ma semplici cestini, tipo bauletti, per lo più in plastica, rosa o celesti. Non ci chiamava con il nostro nome, ma col nome della frazione di appartenenza. E sapete quale era il mezzo con il quale si tornava a casa? La Mercedes di zi’ Romoletto.

Ecco l’altro personaggio, per me indimenticabile, di quegli anni.

Zi’ Romoletto, detto “il tassinaro” in realtà, non era lo zio di nessuno, ma tutti nella zona lo chiamavano così. Era un bel signore di città che aveva sposato una bella ragazza del posto. Possedeva una Mercedes nera, e, per lavoro, offriva i suoi servizi di guida, per lunghi viaggi, a chi non fosse munito di automobile. Era lui che ci portava all’asilo e ci riportava a casa.

La sua macchina a noi bambini sembrava un transatlantico, con il cambio a destra dell’enorme volante a doppio cerchio; il clacson squillante, faceva concerto da solo, e ad ogni curva avvisava del nostro passaggio; ammassati sul sedile posteriore, quanti fossimo ad ogni viaggio non ricordo, ci divertivamo da morire quando lui, che aveva ribattezzato la sua auto con il nome di Caramella, la incitava a partire:  –  Avanti Carame’!-  o la intimava a fermarsi: – Frena Carame’!-.

Dio mio….  che viaggio nel tempo. Quanti ricordi.

Mi alzo dal divano, rimetto a posto le foto, riprendo le mie faccende in casa.

Penso alle cose semplici che hanno forgiato alla vita la nostra generazione e ai moderni scuolabus omologati.

 

Sandra per @tantipensieri

Immagine dal web

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