“Non stavamo solo andando avanti: eravamo anche in corsa contro il tempo, non potevamo arrenderci…” Lazare Moreau, 97 anni, lo sguardo perso nei ricordi ancora vivi di quel terribile primo vero conflitto mondiale che vide lui stesso protagonista di una delle pagine più tristi della nostra storia: la battaglia di Verdum, combattuta a caro prezzo di vite umane sul famigerato Fronte Occidentale, sul confino Franco – Tedesco.
– Nonno? continua, poi che è successo?
Jean Pier, 17 anni, incalzava l’anziano affinché restasse su quel ricordo: la sua ricerca scolastica avrebbe riscosso sicuramente un bel voto con un racconto originale di quel periodo… Lazare parve destarsi da un sonno, guardò il nipote e disse: “di cosa stavamo parlando?” – Della guerra. Di quando ti sei salvato con il tuo reggimento dai tedeschi.
Il vecchio esortato continuò a parlare: “Avevamo fame. Non mangiavamo da due giorni e due notti. Il morale era a terra ed io avevo paura di morire”. Bevve un po’ di tè caldo da una tazza di ceramica color verde mela che ripose su un tavolino accanto ad alcune vecchie foto incorniciate. “Erano gli ultimi giorni di guerra ma non lo sapevamo. I dispiacci non arrivavano lassù e non vedevamo più crucchi in giro”. Jean Pier ascoltava senza parlare. “non dimenticherò mai quel cielo stellato in quelle fredde notti di novembre…”
– Nonno? ma come avete fatto a scendere dalla montagna? Lazare si sistemò meglio la coperta sulle gambe, una vecchia trapunta giallo blu e continuò: “dovevamo fare in fretta perché il tempo ci faceva congelare le scarpe”. “eravamo così spaventati di perdererle o peggio di perdere un piede, che la guerra sembrava una bazzecola a confronto!” “Stremati continuavamo a scendere, scendere e all’improvviso un miracolo: su un fianco della montagna un anfratto e dal suo interno luce”. Jean Pier non staccava gli occhi dal nonno, in attesa di sapere cosa c’era nella grotta. “All’interno, allineati al riparo di una sporgenza di nuda roccia sei muli alle loro mangiatoie, con delle torce ad illuminare e riscaldarli”. “Quella vista improvvisa, il calore ed il riparo dal gelo, furono un di grande conforto”. Ci gettammo in terra, confusi ma grati di quel riparo inaspettato. D’un tratto un rumore strano, gli animali si misero a ragliare ed una voce ruppe il silenzio: “Alt! Hände hoch, wer ist da!” (altolá, mani in alto, chi va là!) Un uomo sulla sessantina, in piedi davanti a noi, ci puntava addosso una Luger.
Interminabili furono quei secondi di silenzio mentre noi, attoniti e storditi rimanevamo fermi in terra. L’uomo ripetè la frase ma stavolta lo capimmo. Era un vecchio soldato tedesco addetto alla cura dei muli, animali buoni e collaborativi per natura, usati durante il conflitto per trasportare grossi carichi tra viveri e munizioni sulle quelle stradine montane impervie. “siamo soldati francesi” disse il nostro capitano. Ed a noi parve già sufficiente per decretare la nostra condanna a morte. “stavamo tornando a casa, al fronte non ci sono nemici da combattere e siamo rimasti solo noi”. L’uomo restò fermo quasi per valutare l’onestà di quelle parole, poi abbassò l’arma. Ci parlò del conflitto e ci offrì pane e latte. Passammo la notte li, timorosi ed incerti del nostro futuro ma alle prime luci del mattino, quell’uomo, quel nemico tedesco, slegò i muli e disse: “vi condurrò lungo un sentiero che porta a valle, verso il confine francese. Da li in poi andrete a piedi verso la vostra casa”. Scendemmo a dorso di mulo ma quel viaggio traballante e difficile ci sembrò un sogno, un sogno di salvezza”. Il nonno aveva gli occhi lucidi mentre dal tavolino alla sua destra prendeva una cornice con dentro una foto ormai ingiallita. “Verdum, 9 novembre 1918” 8 uomini, 6 muli, una grotta, una guerra alle spalle e una storia di amicizia che non si dimenticherà mai.
Giuseppe M.
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