E io lo chiamo capitano

So già che riderai.

Fai sempre così quando ti racconto qualcosa, stai lì mi ascolti seduto alla tua scrivania e poi tiri le somme, perché così fanno gli amici veri, quelli come te.

Tu che hai qualche anno in più di me, non lo dai a vedere ma lo fai sentire quando mi apri gli occhi e quante cose ti ho raccontato di me, anche quando stavo per crollare.

Non è l’età che fa l’esperienza ma ciò che viviamo.

Non ricordo più come abbiamo fatto a incontrarci o forse è stato merito delle mie parole così contorte che ti hanno incuriosito, non ti sei fermato all’apparenza ma sei andato alla sostanza, anche perché della prima spesso ne facciamo una vetrina attraverso la quale non troveremmo mai il coraggio di andare.

So già che riderai perché ti sembrerà di sentire quella parte di te ancora ragazza che ti sussurrerà che il cuore funziona sempre allo stesso modo ma è poi la testa che va a sbattere, perché io mi so affezionare ma poi ci sto male, ma sembra una moda che non passa mai in nessuna epoca.

Mi hai insegnato ad ascoltarmi sempre e di più, a guardarmi e a far uscire quella parte di donna che dopo qualche complicazione caratteriale avevo deciso di mettere da parte.

Non deridi, ascolti.

Poi ripenso a quando quel mattino con fare filosofico hai iniziato a parlare di case e fondamenta, facevo finta di non capire, volevo vedere dove andavi a parare, era come un girotondo. Parlavi di mattoni, facciate e bellezza; dicevi che i mattoni a volte stanno lì per arricchire la facciata, altri sono più strutturali ma se ne togli uno crolla tutto.

“Tu stai sulla facciata!” Alla fine mi dicesti.

Con te non si resta senza fiato, non ha senso, ormai ti conosco, ma era strano perché di solito sei diretto senza tanti ghirigori.

In fondo so già che riderai ma per tutte le volte che tu fai sorridere me allora posso dire che siamo pari.

Ascoltami e non smettere, abbiamo tutti bisogno di qualcuno che vada oltre e non ci prenda in giro, soprattutto nelle nostre debolezze.

Debora Alberti

Immagini dal web

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