Sono un fotoreporter e ho anche un lavoro vero.

Sono un fotoreporter e posso fare fotografia.

Sono fuori dagli schemi rigidi imposti dal mercato di settore che spesso limitano la creatività, ora, finalmente, posso immortalare angoli della Sardegna anche quando il cielo è tappezzato di nuvole, senza che si veda la bellissima, cristallina, acqua del mare dalle mille sfumature turchesi che circonda le spiagge.

Ormai la concorrenza spietata di quanti si improvvisano fotografi nel tempo libero e di quelli iscritti al club “Fai due foto visto che vai lì” mi ha fatto perdere il fascino e l’importanza che do al mio vecchio mestiere. Ma dopo una lunga pausa e qualche giorno passato a riascoltare le parole registrate dell’indimenticabile maestro Mario Dondero, soffiato via la polvere dai tre volumi di Ansel Adams e riletto ogni pagina, ho deciso di fare ancora fotografia. Alleggerito, non del tutto, dalle regole che il mercato richiede posso dire di avere una grande fortuna: fare il fotografo e avere anche un lavoro vero.

Frugo tra gli scatoloni ammassati in soffitta e trovo bacinelle, tank, pinze, mollette, pellicole, cassetti a prova di luce, lampadine rosse, termometro digitale. Ci sono tutti i pezzi inventariati.

Spolvero attrezzatura analogica, la prima che mi capita tra le mani è la vecchia 6×6. Non entro nel merito dell’annosa questione “pellicola o digitale”, ho sempre usato entrambi i mezzi. E ora sto pensando di riposizionare una camera oscura.

Oggi molti si improvvisano fotografi e, ahimé, sono pure convinti di esserlo. C’è Tizio, ad esempio, che compra una Reflex e apre la sua pagina Facebook: Tizio Photographer. Ora si sente un fotografo a tutti gli effetti, l’aggiorna di continuo con 10, 20 a volte persino 50 scatti. I più, fra l’altro, anche photoshoppati. Io, invece, voglio rimettere in moto la mia camera oscura e diventare come Ansel Adams, ma state tranquilli, non aprirò una pagina Facebook “Gianni Adams”, vi risparmierò questa tortura.

Sapete, non riesco proprio a immaginare Cartier-Bresson che tornando a casa dopo una giornata di scatti ne selezioni velocemente alcuni da mettere in rete in attesa di sei, sette, cento o zero “mi piace” (like). Nella mia vita di fotoreporter sino al 2005 pensavo di averle viste di belle, ma non è così. Sentite qua: ero intento a seguire un festival jazz quando alla mia destra notai un signore, non più giovanissimo, con un berretto rosso e una Reflex digitale, poteva sembrare un classico turista all’apparenza molto imbranato intento a fotografare tutto ciò che lo circonda senza senso, per di più in piedi davanti all’altare di una chiesa, con il musicista assorto nel suo concerto e il direttore artistico del festival che, senza farsi vedere dal pubblico, cerca in ogni modo di farmi capire che devo farlo sedere. Quell’intruso spettatore era Pablo Volta.

Perché dobbiamo vedere e dare in pasto tutto e subito? Sono nel bel mezzo di una gara di “mi piace” e non me ne sono accorto?! Vi lascio il campo libero, le foto delle vostre spiagge sono bellissime ma io al mare ci vado solo per nuotare una mezz’oretta; se mi cercate sono al buio in camera oscura.

Gianni Petta 

Condividi

Leave a comment

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.