Delitto vista mare

Quel giorno Sara decise di uscire prima, per una camminata mattutina, prima del lavoro. Aveva bisogno di schiarirsi le idee sulla discussione avuta la sera prima col fidanzato, Marco. Stavano insieme da anni e da tre, avevano iniziato la convivenza. Da un po’ di tempo però, lui era cambiato. Non era più il ragazzo solare di qualche mese prima. Era diventato schivo, depresso, triste. Ed aveva iniziato ad avere problemi sul lavoro. Marco, dipendente di una grande impresa edile, aveva ricevuto un richiamo formale per scarso rendimento. Arrivava al lavoro in ritardo e Sara era stata contattata dal capo più volte per sapere anche il motivo di alcune assenze. Lei davvero non aveva idea di cosa gli stesse succedendo. La sera prima la discussione era stata accesa, lui era tornato a casa ubriaco. Era già la quinta volta quel mese. Lei era stanca. Dopo aver litigato e non aver aver avuto alcun chiarimento da lui, era andata a letto, mentre lui era rimasto sul divano, dove ancora era.

Sara uscì di corsa sulla spiaggia col suo cane, Joe, un labrador di tre anni. Quel giorno la spiaggia era assolata e non immersa nella foschia come solitamente la trovava. L’odore della salsedine le fece fremere le narici e svegliare completamente. Al momento, quel luogo, l’isola Mirage, era l’unica cosa che amava di quella sua vita oramai incerta. Mirage era un’isola piccola, con un pineta al centro, il paese, e attorniata da spiagge di sabbia bianca e fine. Non era una meta turistica a dire il vero, ma aveva una piccola baia che era un incanto. Gli abitanti si conoscevano quasi tutti e Sara lavorava nel negozio di fiori, al centro del paese. La camminata fu fantastica e molto rilassante. La ragazza era pronta per svegliare Marco ed andare al lavoro. Sara guardò la spiaggia, pulita ed il cielo terso. Per molti giorni non lo avrebbe più visto così. Anche se lei non lo sapeva ancora.

Sara e Marco decisero, dopo 3 anni di fidanzamento, ti andare a convivere. E si innamorarono subito di una piccola casetta in riva al mare sull’isola Mirage. Una casa adatta a loro in quanto ancora non avevano una famiglia, ma avrebbero voluto dei figli in futuro. Rivestita il legno e dipinta per resistere all’umidità e all’acqua marina, quella piccola casetta era il loro sogno divenuto realtà. Marco lavorava per la ditta edile che aveva costruito quella casa, la cui sede era sulla terraferma. Sara, invece, lavorava nel paesino di Mirage, nel negozio di fiori, che era dello zio e si erano conosciuti proprio lì, tanto tempo prima, non lo ricordavano neanche più. I primi mesi erano stati solamente usati per organizzare la casa e poi finalmente, per godersela un po’.

Marco amava molto Sara, una ragazza dalla pelle bianca, con tante lentiggini, i capelli rossi e gli occhi di un verde smeraldo. Lui non era così bello se ne rendeva conto, alto sì, ma fuori forma: aveva il vizio di bere qualche birra quando usciva con gli amici la sera. Una cosa che non aveva tenuto in conto della convivenza era, appunto il dover discutere con lei delle uscite con gli amici. Allora si erano dati delle regole ed era andata abbastanza bene.

Finché, a Mirage, non tornò Roccia. Cristian, detto Roccia, di due anni più grande di Marco, suo grande amico al liceo.

Poi le loro strade si erano divise perchè quelle di Roccia erano pessime. Oltre all’alcool e alla droga, era entrato in un giro di furti con scasso che lo aveva portato in carcere. Roccia non sembrava cambiato affatto, nonostante la galera, mentre Marco e gli altri coetanei, erano maturati, cresciuti, avevano fatto progetti, ambizioni, lavoravano, avevano una famiglia.

Marco fu la prima persona che Roccia volle vedere. Lo cercò ovunque e, arrivato da Sara, la supplicò per poter parlare con lui. Lei, restia, dopo un po’, gli diede il numero di telefono. Lui lo prese e fuggì via. Quella sera lo ritrovò a casa, con Marco, seduti comodamente sul divano, con pizza e birra. Tanta birra. Marco si alzò e portò Sara in cucina:《Amore mio, solo 2 o 3 giorni, il tempo di cercare qualcosa di meglio, poi se ne va, ok? Grazie amore.》E tornò di là. Sara si infuriò.

Da quel giorno iniziarono ad andare male le cose tra lei e Marco. Come se un vetro si fosse impercettibilmente incrinato. Solo in seguito, avrebbe capito il perchè.

Com’è possibile immaginare, Roccia rimase per più di tre giorni. All’inizio era semplice, non era mai in casa, asseriva di essere in cerca di lavoro. Poi iniziò a passare sempre più tempo in casa, e Marco con lui. Sara allora perse la pazienza.

Una sera, a letto, decise di dire a Marco quello che pensava esattamente del suo amico: che era un approfittatore e che lo stava portando sulla strada sbagliata. Lui aveva un lavoro, aveva una famiglia, non era un semplice ubriacone. Roccia doveva andarsene da casa loro al più presto. Marco assentì e promise di aiutarlo a trovare una sistemazione nel più breve tempo possibile. In effetti, dopo solo quattro giorni, Roccia sparì. Sara non chiese nulla a Marco. Non voleva sapere dove aveva trovato casa. Marco non sembrava affatto entusiasta di non aver più accanto il suo miglior amico, però riprese a lavorare normalmente.

A poco a poco il suo umore migliorò. E anche le bevute diminuirono. Finalmente ritrovarono un’intesa che sembrava ormai perduta. Fino al giorno della “Festa di Classe”, ovvero, la rimpatriata di tutti quelli nati nello stesso anno di Marco. Lui era stato chiamato per organizzare il bar. Quando gli diede la notizia, Sara iniziò subito ad essere in ansia e a presagire qualcosa di sbagliato, di negativo. Quel senso di disagio aumentò due sere prima della festa, quando Marco andò a comprare casse di bibite e alcolici per la festa, dopo il lavoro, alle 18:00. Chiamò Sara e gli disse che sarebbe tornato entro un paio d’ore. Arrivarono le 23:00 e ancora di Marco nessuno traccia. Il telefono spento dalle 22:00. Prima di allora Sara chiamò parecchie volte ma non ebbe mai risposta. L’angoscia le serrò la gola. Si mise a letto, ma non prese sonno. Alle 3:00, quando finalmente si fu assopita, venne svegliata da un fracasso infernale proveniente dal garage. In allarme balzò fuori dal letto e corse verso la porta, in ascolto. Poi la sentì: la voce di Marco, palesemente impastata dell’alcool. E un’altra. Quella di Cristian “Roccia”. Furiosa, spalancò la porta del garage. E vide che oltre alle casse di bibite e bottiglie di birra vuote, c’erano anche altre cose: computer portatili, monitor, smartphone. I due ragazzi la guardarono e Marco la prese per un braccio e la spinse via di forza: 《Torna a letto tu. Non hai visto nulla capito? Torna a letto!》.

Sara si spaventò e corse al piano superiore. Mai lui aveva usato violenza con lei, nemmeno con le parole. Mai. Si vestì in fretta, prese le chiavi del negozio ed uscì. Avrebbe riposato un po’ nel retro, sul divano, fino all’apertura. Poi avrebbe fatto i conti con lui.

Quel mattino Sara chiamò diverse volte Marco al telefono e non ebbe risposta. Tornò a casa attraversando la spiaggia, accompagnata dal vento, che la tranquillizzava un po’. A casa, nemmeno l’ombra del suo compagno. Solo bottiglie di birra vuote e briciole suo divani. Il cellulare era sul tavolo di fronte al televisore. Quel ragazzo era impazzito. Completamente. Ripensò a tutti quegli oggetti nel portabagagli. Da dove venivano? Ne avrebbe parlato con lui, appena fosse tornato. Si mise a pulire il caos lasciato da quei due vandali. Accese la TV, sul canale locale. E rimase intertedda. Stavo trasmettendo un servizio su di una rapina in un negozio di elettronica del luogo. I ladri conoscevano il codice dell’allarme o sapevano come disattivarlo. Rubati migliaia di euro di merce. Si sedette sul divano, confusa. Non era una coincidenza. Il nuovo lavoro di Roccia. Doveva averne la certezza. Doveva sapere dove il ragazzo aveva trovato impiego. Poi avrebbe parlato a Marco e se lui si fosse dimostrato violento come la sera precedente, sarebbe andata a sporgere denuncia.

Finì di pulire e si cambiò. Prese l’auto e si avviò sulla terraferma, dove era il negozio di elettronica. Il ponte prima non c’era, era stato costruito da pochi anni, prima si raggiungeva l’isola di Mirage, solo col battello. Arrivò e trovò ovviamente volanti della polizia. Scese dall’auto e si guardò intorno, per vedere se riusciva a scorgere qualcuno a cui chiedere. Non ce ne fu bisogno. Infatti, tra i dipendenti che facevano l’inventario della merce rubata agli agenti, ecco Roccia, con la maglia del negozio. Lo guardò a lungo, con disprezzo. Dopo qualche istante lui sembrò accorgersi di essere osservato. Alzò lo sguardo e la vide. L’odio incendiò i suoi occhi. Un ghigno malvagio e cupo gli si disegnò in volto. Sara allora salì in macchina e tornò sull’isola. Marco ancora non era a casa. Gli lasciò un biglietto, di chiamarla al più presto. Poi ando’ negozio e chiese al proprietario di poter dormire lì quella notte, si inventò la scusa di alcune commissioni da fare la mattina prima dell’apertura.

Fu una scelta saggia. Infatti nella notte, qualcuno entrò nella casa sulla spiaggia, spaccando il vetro della porta e devastando tutto, non avendola trovata. Lei se ne accorse solo all’uscita del lavoro. E in tutto questo, di Marco, neanche l’ombra.

Sara aspettò la polizia quella mattina, che fece tutti i rilievi del caso. Non erano spariti oggetti. Quando le chiesero se avesse idea di chi fosse stato, lei esitò. Prima avrebbe dovuto trovare Marco. Rimase quindi sul vago, non disse nulla di effettivamente utile, anche se lei sapeva benissimo chi era l’autore di tutto. Passarono le ore e di Marco ancora nessuna traccia. Telefono sempre spento. Lei era arrabbiata ma nello stesso tempo, una sorta di ansia le premeva lo stomaco.

Quella notte sarebbe andata dai suoi genitori. Mentre si dirigeva a casa dei suoi, trovò sulla strada un’auto ferma e Roccia vi era appoggiato, con le braccia conserte, come se la stessa aspettando. Lei allora iniziò ad accelerare, lui per fermarla si buttò in mezzo la strada. Sara allora non ebbe scelta, fermò alla macchina ed abbassò di qualche centimetro il vetro e mise la sicura alle portiere. Lui si avvicinò al finestrino e le disse:《Sara, penso che sia giunto il momento di parlare, non credi?》 Lei lo guardò irritata, e gli rispose:《 Parlare? Parlare di cosa? Di quello che avete rubato nel tuo negozio dove lavori? Perché avete fatto quello, vero Roccia? Io non ho detto niente, però non ho ancora notizie di Marco. Prima voglio parlare con lui, dopo ti dico che sporgerò denuncia formale》 . Roccia si mise a ridere:《 Non mi spaventi sai, ragazzina, non mi spaventi. A parer mio, il tuo Marco se n’è andato.》 Lei lo guardò, quasi scioccata:《Come se n’è andato?》《 Ma sì, ti ha lasciata! Cosa credevi? Lui ha un’altra già da tempo, fattene una ragione!》Sara rimase sconvolta da questa rivelazione. Roccia pian piano si rialzò e le disse:《Mi raccomando Sara, stai attenta quel che fai, altrimenti anche tu potresti sparire…》 Lei allora abbassò  completamente il finestrino, mentre lui risalì in macchina, urlò:《Cosa vuol dire che anche io potrei sparire? Cosa vuol dire? Dimmelo! Dov’è Marco? Dimmi dov’è Marco!》Ma non ebbe risposta, Roccia stava ripartendo .

Lei prese dei respiri profondi e si avviò verso casa dei suoi genitori. Ovviamente quella notte dormi male , poco e fece tanti incubi: immaginò Marco insieme ad un’altra donna, immagino lei uccisa, e anche Marco. Si svegliò urlando nel cuore della notte. Sperava che le minacce del ragazzo fossero solo un modo per distoglierla dal fare la denuncia alla polizia per il furto. La mattina Sara chiese un giorno libero al lavoro, doveva sistemare per forza alcune cose. Decise di andare a casa sua, sulla spiaggia, a piedi. Quella mattina una leggera foschia lattiginosa, si spandeva sulla spiaggia e sul mare, facendo venire i brividi. Sara si tolse le scarpe e camminò così, a piedi nudi, sul bagna asciuga, assorta nei suoi pensieri. Una cosa, ad un certo punto, attirò la sua attenzione. Vicino ad uno steccato di un recinto di una casa di vacanze, c’era una massa informe, come un sacco buttato da qualcuno. Si avvicinò lentamente, e le sue paure iniziarono ad ogni passo, a prendere sempre più una forma ben precisa. Quella di Marco. Vide per prima la sua maglia, i suoi jeans, la sua scarpa, una mancava, ed il piede, color bianco ceramica. Quando fu vicino a quello che che le sembrava

Marco, pregò solo che fosse ubriaco e caduto lì, svenuto. Decise allora di voltarlo sulla schiena. Quello che vide fu agghiacciante. Un segno sul collo, rosso, come di un laccio premuto a lungo, che quasi gli aveva inciso la carne. Gli occhi sbarrati, le labbra gonfie. Marco era morto. Era molto soffocato. Sara gridò più forte che poté. Attirò l’attenzione dei vicini che accorsero e, vista la terribile scena, la presero e la portarono in casa, e chiamarono la polizia.

I rilievi della polizia durarono tutta la mattina e gran parte del pomeriggio. Sara, in stato di shock, fu avvicinata dal commissario Rossolini:《Come si sente signora? Vuole andare in ospedale? Dovrò farle alcune domande, lo capisce?》 La ragazza annuì. Lui allora iniziò a chiederle le generalità e dettagli sulla vita con Marco e sul ritrovamento. Quando arrivarono a quel punto, Sara iniziò a singhiozzare sempre più forte, allora il commissario consigliò ai genitori della ragazza di chiamare il medico per un calmante. Rossolini, intanto, continuò a cercare prove nel luogo del ritrovamento del cadavere di Marco. Sotto la sabbia, ricoperti, schiacciati da una scarpa, tre mozziconi di sigaretta. Nulla di più. Quelli ed il cadavere del ragazzo, che era stato strangolato probabilmente con un filo sottile, come quelli da pesca, che si era parzialmente infilato nella carne, tanta era la forza impiegata. Rossolini suppose che Marco fosse ubriaco, le analisi avrebbero chiarito i vari dubbi. Il ragazzo era con qualcuno? Oppure era stato portato lì?

Rossolini doveva solo aspettare che Sara ai calmasse. Da troppi anni faceva quel lavoro. La ragazza quasi sicuramente sapeva qualcosa di più. Ne era certo. Da lontano qualcuno nascosto nell’ombra osservò tutte le mosse della polizia. Ora un altro problema si presentava: la ragazza. Sara quella notte si trasferì dai genitori. Imbottita di calmanti, non riusciva ugualmente a dormire. Aveva paura. Domani avrebbe dovuto raccontare tutto a Rossolini. Quel peso le gravava sul petto come un macigno. Marco ora non c’era più. Quel maledetto lo aveva ucciso. Era sicura fosse stato lui. Si mise a piangere e in quel momento un sasso colpì il vetro della finestra mandandolo in frantumi. Urlò, svegliando il padre che subito accorse. Cercò di tranquillizzare la ragazza e poi prese il sasso. Fermato con un elastico, un biglietto: LA PROSSIMA SEI TU. NON MI SCAPPI. STAI TRANQUILLA. PARLA PURE, MA NON MI SCAPPI. Il padre chiamò subito Rossolini e spostò la figlia in un’altra camera. L’indomani sarebbe stata molto dura per lei. Fece a Sara un’altra puntura di calmante, e finalmente, la ragazza crollò stremata.

Gli occhi spalancati, il volto gonfio, le labbra blu che tentavano di pronunciare parole che non avevano suono. Dal collo di Marco questa volta usciva sangue, rosso e denso. Lei lo guardava e non riusciva ad avvicinarsi a lui, ne aveva paura. Iniziò ad urlare poi si sentì stringere il collo, sempre più forte e divenne tutto nero. Sara si svegliò urlando, madida di sudore, nel letto. Si toccò ripetutamente il collo e prese diverse boccate d’aria. Decise di farsi una doccia per svegliarsi, anche i calmanti ormai avevano perso l’effetto. Sotto la doccia si mise a riflettere, per quel che riusciva, su quello che avrebbe detto a Rossolini.

Doveva raccontare tutto, era inevitabile. Anche lei ora si sentiva in pericolo. Uscì dalla doccia, si asciugò e scese in cucina per prendere un tè caldo. Rimase stupita di vedere già lì Rossolini che parlava con suo padre. Si sentì ugualmente sollevata, sarebbe stato tutto molto più rapido. Rossolini la guardò e le disse solo:《Pronta?》Lei annuì decisa e iniziò a raccontare delle bevute, delle notti insonni passate ad aspettare Marco, dell’arrivo di Cristian detto “Roccia”, della sera in cui aveva visto nel bagagliaio tutta la merce e di aver visto Roccia al negozio derubato, lavorava lì. Poi si ricordò delle minacce al bordo della strada, la sensazione di angoscia, la casa in spiaggia sottosopra. Alla fine del racconto era stremata. Rossolini aveva registrato tutto. Poi le fece le classiche domande sugli amici di Marco, sulla sua vita lavorativa, se avesse mai avuto guai in passato. A parte i problemi con l’alcool il ragazzo era pulito. La minaccia della notte passata, mise in allarme l’ispettore:《Se si tratta della stessa persona che ha ucciso Marco, osserverà ogni tuo movimento e sono quasi certo che ci stia guardando anche ora. Devi fare attenzione Sara. In tutto. Il consiglio che ti do è quello di riposare qui ancora un paio di giorni, poi di tornare al lavoro. Non tornare a casa tua, sulla spiaggia. Se l’assassino è Roccia, conosce bene come muoversi e molto probabilmente, ha una copia delle chiavi》. Sara rabbrividì e guardò il padre, che annuii. Sarebbe rimasta lì da loro.

Rossolini si congedò, raccomandando ancora di non tornare alla spiaggia e di fare molta attenzione. Una volta uscito dalla casa, salì in auto, percorse un breve tratto e si fermò a riflettere. Qualcosa gli diceva che la ragazza era seriamente in pericolo, nonostante i genitori e le volanti a controllo nella zona. Prese il cellulare e digitò un numero:《Sì, sono Rossolini. Mandate degli agenti a sorvegliare in questi giorni la casa di Sara, sulla spiaggia, giusto per sicurezza, per non tralasciare nulla. Dubito la ragazza torni là, ma la prudenza non è mai troppa》. Ripose il cellulare e riprese il suo viaggio. Un’ottima idea, quella dell’ispettore. Lo avrebbe scoperto la sera seguente.

Il secondo giorno dopo la visita di Rossolini, Sara si svegliò in preda ad un altro incubo agghiacciante, in cui le sembrava di venire soffocata. La sensazione rimaneva anche dopo una doccia calda. Non riuscì a mangiare nulla, lo stress era fortissimo. Quel mattino i suoi genitori uscirono per delle commissioni alla banca. Sara rimase ferma sul divano, a cercare di dominare l’ansia coi calmanti. Appena chiudeva gli occhi, si trovava davanti le immagini del volto gonfio di Marco.

Ad un certo punto la sua mente elaborò un’idea. Doveva tornare a casa sua, in spiaggia, voleva affrontare quell’assassino da sola, senza l’aiuto della polizia. Si vestì quindi in fretta, e prese un fucile da caccia dall’armadio – cassaforte del padre. Caricò tutto il auto e partì. Nella sua testa la rabbia montava secondo per secondo, fino a quasi renderla cieca. Parcheggiò dall’altro lato della spiaggia, per non farsi notare dai vicini. Percorse lentamente il perimetro in ombra della sua casa, ed entrò dalla porta sul retro. Cercò di fare meno rumore possibile. Una volta dentro, si tolse le scarpe, e camminò a piedi nudi fino al salotto. La finestra rotta, i vetri ancora in terra, una visuale sulla spiaggia e sul mare, davvero sinistra. La cucina era come l’aveva lasciata. Tutto sembrava immobile. Un sottile strato di polvere si era posato sui mobili, portata dall’aria che entrava dalla finestra rotta. Nulla era stato spostato. Sara non capiva. Aveva sperato che lui fosse lì. Invece no. Stupida lei. Troppo facile. Roccia sapeva che sarebbe tornata a casa, molto probabilmente era già lontano, scappato, in viaggio.

Fece ancora qualche passo, poi la sua attenzione venne attirata da qualcosa. Un sottile filo di fumo si alzava da un posacenere. Un mozzicone non spento bene, forse nella fretta. Lui era lì. Il cuore le batteva a mille. Riusciva a malapena a deglutire. Nascosta in un angolo, caricò il fucile a pallettoni. Cercò di fare meno rumore possibile. Si avviò oltre la cucina, verso le camere. Scalza, il pavimento sotto i suoi piedi era freddo come il ghiaccio. Rabbrividì. La casa era silenziosa, l’unico rumore era quello del vento che dalla spiaggia, sferzava la casa. Entrò nella camera da letto padronale, lentamente. Niente, non vedeva alcuna traccia di Roccia.

Improvvisamente sentì una gamba cedere. Perse l’equilibrio, cadde in terra e il fucile insieme a lei. Cercò di allungarsi ma un peso la schiacciò al pavimento. Non ebbe il tempo di reagire che un filo sottile e robusto le stava stringendo il collo. I suoi peggiori incubi presero forma. Con le mani tentò di allentare la stretta, ma lui aveva una forza di molto maggiore della sua. Tentò inutilmente di prendere aria. I polmoni bruciavano, iniziò a vedere puntini neri davanti agli occhi, le labbra blu. Sentiva arrivare inesorabile il momento della resa.

Chiuse gli occhi. D’improvviso delle urla le rimbombarono nelle orecchie.

La presa fu allentata, ma Sara perse i sensi lo stesso. Si svegliò in un letto d’ospedale. Seduto su di una poltrona, vicino al letto, Rossolini. Lui le sorrise. Lei provò ad aprire la bocca per parlare ma la gola le faceva male. Rossolini si avvicinò:《Non parlare, tranquilla. Riposati, ne hai bisogno. Per un po’ di tempo avrai dolore e dei lividi, col tempo sparirà quasi tutto. Sei stata molto coraggiosa, anche se incosciente. Potevi morire, lo sai?》Sara annuì, con le lacrime agli occhi. Rossolini sorrise:《Adesso riposa. Roccia è al sicuro in carcere. Verrà processato al più presto per omicidio e tentato omicidio. Ha finito i suoi giorni di libertà e bagordi. Ora vado. Buon riposo.》 Sara gli strinse la mano e con un filo di voce riuscì a dire solo una parola:《Grazie》.

©reginapinellaworld

immagini dal web

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