Sapevo sorridere, non lo sapevo

Davide era solo in macchina quella sera…stava aspettando e, come al solito, era in anticipo.

Dalla radio le note di Heroes di David Bowie gli sembrarono subito perfette, una disperata voglia di essere felice, gridare la propria rabbia. Era questo quello che sentiva. Erano le 18.45 di un giorno come tanti, uno dei tanti passato nella paura, le persone transitavano distratte, rannicchiate in abiti che sembravano corazze. Era febbraio, l’aria era fredda. Davide era stretto su se stesso, cercava di trattenere il calore, non disperderlo. Provava un senso di protezione chiuso in macchina in quegli spazi angusti, era alto ma riusciva a trovare l’incastro tra le sua gambe lunghe e i pedali della macchina. Provava un senso di controllo, sul suo corpo, sul suo respiro, gli pareva di sentirlo venire su regolare, questo lo tranquillizzava molto. Mancavano ancora 15 minuti, pensò che fossero troppi, non voleva arrivare tardi ma neanche tanto in anticipo, fumava una sigaretta, sembrava aspirasse pensieri, confusi, evanescenti come le nuvole di fumo in cui era immerso.

Scese dalla macchina, cominciò a camminare, la strada dove si trovava era un lungo rettilineo che portava a piazza Amedeo, dove aveva conosciuto Laura. Pensò ci fosse un filo invisibile che unisce tutte le cose. Piazza Amedeo per Davide era un simbolo di tutte le cose negate, quelle che pensava di meritare e che poteva solo guardare.Tante volte aveva pensato come dovesse essere vivere in un quartiere bene di Napoli, quali fossero gli odori, i colori. Adesso stava entrando in una di quelle case che aveva per tanto tempo guardato da fuori. La strada era elegante, non molto larga, i palazzi intorno erano bassi, curati, tutto sembrava ai suoi occhi inaccessibile, anche le persone sembravano diverse, i tratti dei visi distesi, meno torvi. Davide guardava furtivo le persone, quasi potessero leggere i suoi pensieri, entrargli negli occhi. Arrivato sotto il portone fu fermato dal portiere che gli chiese dove stesse andando.

  • Prego, disse con voce gentile ma decisa
  • Devo andare dalla dott.ssa Cantile, rispose Davide con un filo di voce che tradiva un leggero imbarazzo
  • Scala A, primo piano rispose ancora il portiere.

Ormai non poteva più fermarsi, era entrato, un breve passaggio di scale e sarebbe arrivato. Quando bussò alla porta, Davide sapeva che la sua vita sarebbe potuta cambiata, era pronto, disposto a tutto, voleva che l’angoscia, la paura, svanissero per sempre.

Sapeva che non sarebbe stato facile ma aveva deciso.

Il cuore batteva forte, era di fronte alla porta, suonò il campanello. Venne ad aprire direttamente la dottoressa Cantile, una donna di circa 45 anni, capelli neri, altezza media, molto curata, con un sorriso accogliente, Davide colse subito in quel sorriso un dolore profondo, un dolore addomesticato, che traspariva dai suoi occhi verdi che gli parvero subito sinceri.

– Buonasera, prego si accomodi,disse con voce calma e gentile.

Davide rispose al saluto e si sedette. La casa era calda, accogliente, le luci erano soffuse, Davide pensò che quella fosse la luce giusta. La verità in fondo va sussurrata, sentita dentro, fatta arrivare con un filo di voce, flebile, A cosa sarebbe servita la luce? Davide aveva sempre immaginato che le cose che gli rovistavano dentro non avessero bisogno di luce, anzi, si sarebbero mosse meglio nella penombra. Lei era seduta di fronte, la scrivania era piccola, permetteva una certa vicinanza. Sorrideva, era rassicurante. Iniziarono a parlare. Da dove cominciare? Le parole erano tante, quali erano le più importanti? Dopo pochi minuti di controllo verbale,lo spazio e il tempo si confondevano senza sosta, il confine tra il dicibile e l’inconfessabile si riduceva, aveva la salivazione azzerata ma continuava senza freni. Le parole sembravano tanti fili spezzati, Davide li percorreva lungo il loro perimetro fino al loro confine, poi…finivano. Era chiaro che dovessero poi legarsi in qualche modo ma quale era il filo giusto?

– Va bene, abbiamo finito- disse lei, dopo un’ora e mezza di parole senza interruzioni e si salutarono dopo aver preso un successivo appuntamento.

Tutto aveva inizio. Provava una strana sensazione di eccitazione e di paura. In macchina ripensava a quello che aveva detto, soprattutto pensava alle tantissime cose che avrebbe voluto ancora dire…aveva fretta di liberarsi dei suoi ricordi. La strada del ritorno a casa sembrava diversa, più vera. Una nuova speranza stava riempendo la sua mente, era un misto di paura ed eccitazione. Aveva paura di illudersi che l’angoscia profonda che invadeva il suo corpo non sarebbe mai andata via.

Freud2912

immagini dal web

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