Continui a stare dall’altra parte del cordone ombelicale. Chi l’ha detto che poi ci si deve staccare? Sto così bene qui, sotto i tuoi occhi, tra le tue mani, nelle tue cose, avvolta da un anelito d’amore introvabile altrove. Ti ho dentro ogni volta che mi sposto e la tua voce nelle orecchie continua a farmi distinguere il giusto dal non giusto: quando metto il fiore rosso nei capelli mi vien da ridere a pensare che non approveresti. Dicono che ti somiglio… magari avessi preso la tua forza! Dici che è solo una questione di tempo e di vita, di non preoccuparmi. Come sei bella mentre mi parli, come sei grande. È un baratto diseguale, lo ammetto: non riuscirò mai a darti tutto quello che prendo.
Ti ricordi Tito? E le scarpette rosse di Karen? Quante fiabe mi hai letto. Così, senza saperlo o sapendolo, mi hai creato dentro l’immenso.
Mi hai fatta vivere come il fiore più bello nel giardino del re togliendomi dalla generalità del mondo; mi hai resa speciale.
Cosa sei? Ah no, non lo so dire. Più del tutto e delle sue parti.
Dove stai? Sopra i confini dell’Amore.
Chi sei? Grazie al cielo, la mia mamma.
ALLE MADRI
Immense, dietro un grembiule a fiori,
noi non vediamo le madri,
inumani giganti con le mani in altri altrove.
Pirati,
di fronte alla flotte dei nostri pensieri
maldestri
non si spaventano e fa paura la loro tranquillità:
il mare burrascoso teme la placida onda;
ma c’è già profumo di pane nell’aria
e le lenzuola sono fresche.
Forse si può ricominciare.
Noi, madri, non sappiam ricominciare;
io, mamma, non so come si fa.
Niente grida, nessun’imprecazione:
solo un pianto, ogni tanto, per non disturbare
un sorriso reale smagliante di dolore che voi avete vinto,
tu sai come si fa.
Noi no.
Io no, mamma.
Figli con piccolo fardello d’amore egoista
vi guardiamo, madri, figlie di un’epoca diversa dalla nostra
ma non vi vediamo, avvolte dal vostro amore
non comprensibile, non misurabile.
Siete acqua, terra, fuoco e aria;
noi solo fili d’erba fragili esistenti in dipendenza al moto del vento:
disperati d’incanto vi osserviamo e dal solo lamento,
fischio di quel vento, vi amiamo,
come sappiamo, come possiamo,
come ciechi.
Perché noi, madri, non vi vediamo.
Alessandra Corbetta