Quello che resta del giorno

by Maurizio

alias @freud2912

Non è facile vivere con la consapevolezza della morte, che tutto abbia una fine. Quest’unica consapevolezza renderebbe quasi inutile la costruzione di una vita intera; che senso avrebbe costruire sapendo che  potrebbe non servire a niente? Una considerazione scontata e contraddittoria al tempo stesso. Credo ci sia un equivoco di fondo, che merita una breve considerazione: vivere significa accettare la finitezza delle cose, quindi è inutile sprecare tempo a costruire cose che non hanno tempo. Allora dove dirigere il proprio tempo? Credo che l’unica meta possibile sia verso se stessi, provare a conoscersi realmente è un traguardo importantissimo. Dare spazio alle emozioni che accompagnano questa ricerca rende tutto così affascinante.

Altro punto controverso è la tendenza verso l’altro, provare a sentirsi meno soli attraverso altre esistenze, è possibile? Credo che questa tendenza sia realizzabile in parte. Unico strumento per ottenere questo scopo è amare. Questa funzione é estremamente complessa e contraddittoria, amare implica perdere una parte di sè e farla confluire nell’altro, bello da immaginare ma estremamente difficile che si realizzi in modo equilibrato. È come se noi spingessimo per una vita fatta di controllo, di protezione, mentre la vita ogni giorno ci mostra in modo spietato che non è possibile. Quindi? Dovremmo accettare passivamente tutto questo? Esiste una via d’uscita? Per chi non dirige la vita verso risposte di natura spirituale credo sia dura arrivare a conclusioni diverse.

Altro punto molto imbarazzante è il falso mito della felicità, come si può pensare di essere felici contenendo all’interno di se stessi queste consapevolezze? Pensare di ottenere una felicità costante credo sia un obiettivo folle, cosa ci dovrebbe rendere così felici? La vita? La morte? Il percorso tra quando si nasce fino a quando si muore? Credo che sia possibile concepire alcuni momenti di pura estasi, di felicità nella vita solo introducendo il concetto di astrazione, di follia. Possiamo tendere a momenti di felicità solo se dimentichiamo il senso della morte, quindi attraverso un processo folle di astrazione del pensiero della morte stessa. È auspicabile riuscirci senza però perdere di vista che si ritorna sempre da quel processo di astrazione per calarsi nuovamente nella cruda realtà. Quanto più si tende al controllo del pensiero della morte maggiore è il grado di infelicità.

L’unico modo per tendere alla felicità è accettarla come compagna di viaggio. Non vedo altre soluzioni, altri rimedi.

(editor: Maurizio alias@freud2912)

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