Benedetto dalla Vagina.

 

Vi va se racconto come sono stato benedetto dalla Vagina?

Visto che chi tace acconsente…

Era la fine di gennaio, camminavo per le strade di Guwahati (Assam, India) in tasca poche rupie, ormai ero quasi alla fine del mio pellegrinare in terre d’oriente. Era l’ultimo giorno di Navaratri: la festività dei nove aspetti archetipi della divinità femminile. Nove giorni di canti, odori e luci. Anche io sapevo un po’ di curry in quel momento.
Arrivai tardi in città per colpa di un autobus strapieno ed una mucca, mi lanciai alla ricerca di un posto dove dormire, ma data la festività, tutti gli alberghi erano strapieni.

Ero un po’ spaventato: dormire con il sacco da solo tra i vicoli di Guwahati, non è la cosa più sicura del mondo; anzi sarebbe stata una fortuna arrivare vestito al mattino.
Preso dal hurry up più veloce della mia vita, cominciai a girare come le palle di un flipper in
multiball per tutti i vicoli della città, cercando anche una bettola scarafaggiuta dove dormire. Ma nulla!

La sera era discesa, salutai il sole con l’ultimo sorriso della giornata (pensavo). In mente solo la ricerca di un posto sicuro. Ad un certo punto, dei canti. Mi girai nella direzione dalla quale provenivano: un grosso edificio bianco in cima ad una piccola salita e stranamente tutti andavano verso quella collina. Per strada sempre più bancarelle di japamala (rosari induisti), collane infilate di fiori variopinti, drappi sfavillanti, composti tipo di organza rossa e quel nastro dorato lucido che si usa per fare i fiocchi arricciati o le coccarde a Natale. Questo profumo di rosa centifolia miscelata al sandalo, che ancora sento nelle narici al pensiero e la musica, sempre più forte.

Ad un certo punto in cima a quella piccola collina, una folla di gente di fronte ad un portone
semiaperto, tutti vestiti di poco. Davanti al portone, tre uomini barbuti coperti da dei teli arancioni annodati a mo’ di tunica romana, con del cibo in mano. (Da quanto poi ho saputo, quello era prashad cioè cibo benedetto).

La musica proveniva proprio da quell’enorme costruzione e pensai: Evvai un tempio! Troverò accoglienza. Chiesi informazioni, come avrebbe fatto Alberto Sordi, nel mio inglese maccheronico ad una famiglia lì vicino. Mi spiegarono che quello è uno dei 52 Shakti Peethas ( cioè uno di 52 templi tantrici dove si adora un’aspetto particolarissimo dalla divinità, in questo caso la vagina della divina Madre) forse il più antico. Purtroppo il capofamiglia, alla mia richiesta sulla possibilità di un pernottamento, stortò il naso dicendomi che proprio quello era giorno di riti segreti ed il tempio non era aperto ai turisti.

Dopo 6/7 secondi di zombiesco sconforto, mi recai alla bancarella più vicina al tempio,
praticamente sulle mura. Comprai un japamala, per 30 rupie, composto di 108 palline rugose (chiamate Rudraksha), me lo infilai al collo.
Alzando lo sguardo, vidi una porta laterale aperta e pensai: entro e chiedo, ho più faccia di tolla di quanto immaginano questi monaci, poi è sopravvivenza oh!
Più mi avvicinavo alla porta e più i canti erano forti: un acre odore di legna bruciata proveniva da lì.

Entrai. Fortunatamente ero vestito con la camicia lunga ed i pantaloni in lino bianco, come quasi tutti i presenti in quella stanza. Avevo la stessa collana che portavano loro, barba lunga mai mancata e la pella calabrese; ormai ammantata di sole per i tanti giorni di un caldo viaggio. La stanza era grande e piena di persone con strumenti musicali a me sconosciuti, tutti vestiti in bianco tranne 5 barbuti signori vestiti d’arancione, di cui due con dei dreed che avrebbero fatto invidia a Bob Marley.

In mezzo alla stanza un cerchio in pietra refrattaria con all’interno un fuoco acceso, intorno cuscini, materassi e stuoie come per accamparvisi (sembrerà strano, per un attimo ho sentito una sensazione di casa). Seduti sopra, i figuri d’arancio vestiti.

I canti, nell’esatto momento in cui entrai, intonavano uno strano ritornello ripetuto ed ipnotico.

Ad un certo punto, sentii un particolare calore alla base del cranio, mi girai toccandomi il collo verso i monaci e mi ritrovai due occhi neri come il vuoto, quelli del più barbuto, incollati addosso.
Subito il pensiero fu: mi ha beccato. Adesso chiama le guardie, le prigioni indiane non le voglio proprio vedere. Fuga! E invece… mentre stavo uscendo in fretta e furia dalla porta, un giovane di bianco vestito mi fermò, mi accompagnò accanto al fuoco e mi offrì del cibo. Io sfrontato chiesi l’ospitalità per la notte: il giovane guardò il suo maestro che con un cenno acconsentì.

Ero salvo! Anzi, in realtà molto di più.

La sera scorse tranquilla tra canti, chiacchere elevate, cibo e fuoco. Mi chiesero dove volessi
dormire ed in un lampo pensai: qui! Accanto al fuoco e da nessun’altra parte. Proprio dov’ero, sulla stuoia accanto ai baba.
Dopo una pazza giornata, stramazzai al suolo come un sacco di riso basmati. Dormii.
In tutta fretta, al mattino, mi svegliarono prima dell’alba tre suoni lunghi e profondi emessi da una conchiglia (shank) e che sancivano l’inizio delle attività del tempio. Il ragazzo gentile della sera prima mi indicò il bagno (no ecco, del bagno meglio non parlarne). Mi lavai, vestii alla velocità del fulmine e uscii. Lui mi raggiunse e mi disse: Kamakhya Devi ti benedice, qui di solito possono dormire solo discepoli di Babaji (stranamente sorridendo).

Insomma, per farla breve, tre cose:
1- Ho dormito dove raramente una persona normale può dormire.
2- Ho mangiato cibo sacro e parlato dell’anima con i Baba.
3- Mi è piaciuto!

Al pomeriggio lo incontrai (era il più barbuto di tutti anche di giorno), gli chiesi come mai mi avesse concesso l’onore di stare lì per la notte (poi ci sono stato ancora una settimana spostando il ritorno). Lui guardandomi negli occhi, disse in tono paterno: mentre sei entrato c’era un bajan (canzone) dove il ritornello (quello ipnotico di cui vi ho narrato) diceva poi la tua forma (come ero vestito) era quella dei miei chela (discepoli). Ma soprattutto, solo chi ha la benedizione di Kamakhya Devi (l’aspetto della madre divina come vagina, anche se iconograficamente è rappresentata come una ragazza di 16 anni) sceglierebbe di dormire tutta la notte vicino al suo dhuni (fuoco).
Poi lui è diventato il mio Babaji (letteralmente papà onorato, in uso per maestro).

Quindi, non so voi, ma io ufficialmente sono stato benedetto dalla Vagina.

Si, con la V maiuscola. Di quale vagina pensavate stessi parlando?
@ilPhirlosofo

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