Scritto per tantipensieri da Maurizio alias @freud2912
A cosa servono tante parole? Quale è il senso di stare su un social? Ho sempre pensato che chi ha bisogno di tante parole per esprimere il proprio mondo finga di spogliarsi, in fondo é solo un modo diverso di nascondersi. Una barriera fatta di razionalità, di finta libertà. L’unico effetto è quello di allontanarsi sempre più da se stessi.
I nostri bisogni sono semplici ma le nostre parole lo sanno?. Credo che ci sia un equivoco di fondo. Twitter non è un gioco, come potrebbe esserlo? C’è una esposizione di sè così importante: foto, parole che somigliano a confessioni, continue suggestioni, l’immaginazione che galoppa verso persone spesso idealizzate. Un contenitore fatto di varia umanità, storie di vita che si intrecciano e spesso si rimane con addosso un senso di frustrazione, di vuoto fatto di finta vicinanza. Chiedersi se sia un passo avanti o una regressione dei rapporti umani è un aspetto che solo il tempo potrà chiarire. Per adesso possiamo solo analizzare singoli aspetti, aspettando il tempo necessario per una valutazione che dia un quadro d’insieme esauriente.
Un aspetto che ha catturato la mia attenzione è sicuramente il bisogno di omologazione di tanti, fare parte di un gruppo, attingere conforto e sicurezza da “simili”, alcuni preferiscono parlare di “affinità elettive “, quasi una volontà di perdersi nel flusso di una coscienza collettiva. Una perdita di personalizzazione preoccupante. Uso quasi maniacale di termini simili, concetti ripetuti in maniera quasi ossessiva. Di converso altri preferiscono quasi una sorta di isolamento contraddistinto dalla sciagurata idea di vedere e sentire cose ad appannaggio di pochi eletti. Come se il loro dolore fosse più vero del dolore provato da altri. Quindi appare evidente che questi diversi atteggiamenti hanno un solo comune denominatore, il disagio.
fine prima parte.
Maurizio per tantipensieri.com
alias @freud2912