La radice nel cuore by @_SimplyBen_ on twitter

Anni fa, ho assistito a un film molto coinvolgente, da cui ho preso spunto per parteciparvi questa riflessione. Si tratta del film “Il profumo del mosto selvatico” uscito nel 1995, diretto dal regista messicano Alfonso Arau, e ben interpretato da attori di levatura internazionale quali Antony Quinn, Giancarlo Giannini, Keanu Reeves, Aitana Sánchez-Gijón. Il film è un’accattivante favola, molto romantica. Vi si respira vita verace, che scorre attraverso le vicende emotive e intense dei protagonisti.

Riassumendovi la trama, si parte dal ritorno dalla guerra di Paul Sutton, il quale, dopo aver riabbracciato la moglie Betty (per nulla presa dal suo ritorno, non avendo letto nessuna delle molte lettere inviatele), riprende il proprio lavoro di rappresentante di cioccolatini. Per un susseguirsi di varie coincidenze, Paul si ritrova a “fungere” da marito ad una ragazza di origine messicana, Victoria Aragon, figlia di un facoltoso viticoltore delle valle di Napa, proprietario del fiorente vigneto “Le Nuvole”. La giovane studentessa universitaria, aspetta un figlio illegittimo da un suo professore e teme che il padre, Alberto, la uccida. Paul accetta il ruolo, sia pur fino al giorno dopo, decidendo poi di andarsene con una lettera d’addio. Paul deve scontrarsi subito con l’avversione manifesta di Alberto, molto geloso della figlia e inquietato per non aver saputo nulla della vicenda, ma la simpatia suscitata nella madre di lei, Marie José e soprattutto nel nonno, Don Pedro, rallentano la sua partenza. Paul in quei giorni si immerge nella vita di quella famiglia, vivendo con loro il rito della vendemmia nel clima caratteristico della pigiatura dell’uva. Tutto ciò gli fa prendere gusto e rimanere, decidendo di rispettare Victoria, essendone anche molto attratto e ricambiato. Paul, quindi si ritrova come a casa, trovando nella famiglia della ragazza un rifugio sicuro dai brutti ricordi della guerra che ancora lo atterriscono. Alberto, colpito anche dal fatto che i due non dormano insieme, sebbene il finto genero mostri molto affetto per la figlia, decide di farli sposare con rito religioso. Victoria si vede così costretta a dire la verità al padre, mentre Paul a malincuore pensa di tornare dalla moglie che, nel frattempo, ha provveduto ad annullare il matrimonio. Il giovane, decisamente rinfrancato dall’evento, fa ritorno al vigneto, ma incorre in Alberto, ubriaco, che lo affronta rivolgendogli contro una lampada a petrolio per colpirlo, la quale finisce nel vigneto incendiandolo. Tutti si danno da fare per domare l’incendio ma invano. Solo Paul riesce infine eroicamente ad estirpare la radice della pianta madre della vigna, che ha resistito al fuoco, e dopo quella grande sciagura, sarà proprio quella radice a far rivivere la pianta e le coltivazioni. Alberto si riappacifica così con la figlia e Paul può sposarla, accettando di divenire il padre del nascituro.


Come in ogni favola, quindi, c’è il lieto fine, direte.


La mia riflessione trae spunto proprio da quella radice.
Mi fa pensare a quanti fiumi d’inchiostro siano versati sulla capacità di amare, di continuare ad amare, sulla auspicata e necessaria volontà di essere tenaci nel tenere su ogni legame di amore o amicizia. Penso alla molta retorica usata, a dir poco, quando si parla di ciò che sia “regola” (?) nell’amore, o comunque in riferimento a ciò che debba tessere un legame o una relazione tra due persone che si vogliono, che si vogliono bene, che si amano.


Senza presunzione di pontificare sull’argomento, ritengo che se c’è una radice solida nella pianta madre del loro legame, nel loro cuore, in ciò che lega due cuori, ebbene, essa rimane. Potrebbe succedere di tutto, il terremoto emotivo e sentimentale più impetuoso, il disastro interiore ed esteriore più tragico che abbia minato le fondamenta di quel legame d’amore o di amicizia, ma è nell’esistenza di quella radice, nella sua sussistenza, che vive la linfa che dà modo ai due, reciprocamente, di credere sempre e ancora al sentimento, e di permettere ad essa di rinvigorirsi e poi ricominciare a portare frutti nuovi e più abbondanti in quel legame.


Per farlo rivivere, appunto, come il fiorente vigneto “Le Nuvole”.

@_SimplyBen_ per Tantipensieri

Immagine dal web

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