Serata tipo

Mi chiamano per uscire. 

Eventi mondani, feste, gente, alcool, falsa gioia.

Vado davvero? No, stasera evito. Evito? No vado.

Mi guardo allo specchio, la barba è sfatta,

l’occhio gonfio, stanco, e per i capelli servirebbe un miracolo.

Là fuori son tutti perfetti, i locali diventano passerelle

sulle quali sfilare con chi occhi della folla addosso,

per riempire l’ego con effimere compiacenze.

I miei occhi sono stanchi però, e non riescono ad elargire compensi.

Penso, penso, penso.

Uscire mi farà bene. Rimettermi in sesto anche e questa potrebbe essere l’occasione buona.

Disarciono le natiche dal divano,

mi chiedo cosa mi stia spingendo realmente a questa tortura,

ma sento di doverlo fare.

Guardo il divano, resisto, guardo il letto, resisto e chiudo la porta,

sarà più facile non cadere in tentazione,

occhio non vede, cuore non duole.

Mi faccio una doccia, il bagno è pieno di vapore acqueo,

e nebbia, sembra di stare in pianura padana,

scontro il water, do una ginocchiata al mobiletto del lavabo e una facciata alla porta.

Sarà una serata fantastica, lo so.

Impiego circa mezz’ora a scegliere cosa mettere,

alla fine opto per i jeans, camicia bianca,

cintura e scarpa da ginnastica. Sono quasi soddisfatto, ma non troppo.

Il tocco di classe è un’abbondante spruzzata di profumo,

diretta, sul collo. 

Brucia, divento viola, le vene pulsano,

vedo la Madonna, il bambin Gesù e san Giuseppe,

mi chiedono di essere meno blasfemo, mi scuso.

Sono fuori di casa,

è mezzanotte passata, prendo la macchina e vedo lo specchietto rotto a terra. 

Mi ricordo delle sacre richieste di prima e mi trattengo.

Me la prendo con il bue e con l’asinello, mancavano solo loro,

non tardano a comparire, ma la prendono con sportività,

anzi mi prendono per il culo, indicando con le zampe gli sfregi sulla portiera, che non avevo ancora notato. 

Raggiungo i miei amici al bar,

li saluto, barcollano e parlano a fatica, puzzano d’alcool.

Per uniformarmi bevo qualcosa anche io,

fra il ghiaccio e la redbull sento un retrogusto di vodka,

poca, di scarsa qualità, brucia in gola, fa schifo.

Mi lamento, mi incazzo, voglio un cazzo di cocktail fatto bene,

parole al vento.

I miei amici mi mandano a fanculo, il barista mi manda a fanculo,

mi avvilisco e bevo sto schifo.

Parole, spinelli, stanchezza, alcol. Un cumulo di bicchieri di plastica sul tavolino del bar.

Quanto cazzo ho bevuto? Conto i bicchieri.

Uno, due, tre, sei, cinque, sette. Ok. Basta così.

Abbozzo un sorriso, ne abbozzo un altro, al terzo tentativo mostro anche i denti,

poi mi ricordo di te, mi viene la tristezza, smetto di ridere.

E’ tardi, sono le due passate, nel bar ci siamo solo noi.

Andiamo a ballare.

Entro nel locale, ci saranno 200 persone, l’alcol me ne fa vedere 400,

troppa gente, chi cazzo me l’ha fatto fare.

Mi ricordo del tempo speso per prepararmi, faccio quindi un giro ricognitivo per la disco,

raccolgo sguardi, riempio l’ego, l’appagamento dura 8 secondi netti.

Fumo, bevo ancora un po’.

Mi guardo attorno, questo mondo l’ho vissuto per anni,

ormai è un copione che conosco a memoria, conosco la gente,

conosco il dj, conosco in scaletta le canzoni che metterà il dj,

conosco le persone che staranno male per aver bevuto troppo e conosco me stesso,

che scoglionato da tutta questa serie di fattori,

andrò a casa incazzato per l’ennesima volta.

La musica fa schifo, la gente fa schifo, il locale fa schifo.

Mi pestano il piede, mi rovesciano un cocktail sulla camicia,

schivo a malapena il getto di vomito di un ragazzino alle prime armi con l’alcol,

il quale è inconsapevole che per questa figura di merda sarà etichettato a vita.

Bevo ancora un po’.

Vedo una mia ex, lei è sempre felice, lei ride, lei è allegra. Si diverte.

Sono confuso.

Prendo il telefono, controllo i messaggi, un’ora fa mi aveva detto di essere depressa da quando ci eravamo lasciati.

Due giorni fa mi aveva detto che la sua vita non aveva senso senza di me,

sono perplesso.

Guardo i messaggi, alzo gli occhi e guardo il suo sorriso,messaggi, sorriso, messaggi, sorriso, messaggi, sorriso.

Fanculo.

Mi incazzo, con l’alcol in corpo la situazione non migliora, anzi.

Sono nel locale da mezz’ora e ne ho già i coglioni pieni.

Ipocrisia nell’aria. Sono allergico.

Saluto tutti, porto via i coglioni. Ho salutato? Ho i miei dubbi.

Il buttafuori vuole timbrarmi la mano, nel caso io volessi rientrare.

Lo guardo, sbuffo.

Vado a prendere la macchina, multa. Cazzo.

Arrivo sotto casa, posteggio contro un muretto, sfregio anche l’altra fiancata.

Pazienza.

Pazienza. Fanculo.

Apro la porta di casa, vedo il letto, rimpiango di averlo tradito,

mi sdraio ancora vestito, chiudo gli occhi, la stanza gira, sembra di cadere nel vuoto.

Non cado, rimango appeso, sono in un limbo.

Crollo in pensieri senza fine, penso a te, penso che non dovrei pensarti,

penso che tu non puoi pensarmi, penso che tu non ci sei più, penso che sto pensando troppo.

Penso che domani pagherò il conto di questa scorpacciata di superficialità,

penso di essere da un po’ di tempo ormai, al confine, fra la vita, quella vera,

e il vuoto, quello più profondo, quello vissuto nella superficialità,

di serate come questa.

 

 

ivanzena976 per @tantipensieri

Foto dal web

 

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